Tra open day, paure e aspettative, l’esperto invita genitori e studenti a scegliere seguendo interessi e identità, non stereotipi o giudizi.
Scegliere la scuola superiore non è mai stato semplice, ma oggi più che mai rappresenta una sfida emotiva e sociale per studenti e famiglie. A Milano, dove gli open day riempiono le agende tra ottobre e dicembre, si intrecciano sogni, ansie e desideri di futuro.
In questo scenario, il professor Paolo Bozzato, psicologo, psicoterapeuta e docente di Psicologia dello sviluppo all’Università dell’Insubria di Varese, offre una chiave di lettura diversa nel suo libro Psicologia dell’orientamento al futuro (Mimesis). Secondo Bozzato, la scelta della scuola non è una decisione isolata ma l’esito di un lungo percorso interiore che comincia molto prima dell’adolescenza.
L’orientamento inizia nell’infanzia
Bozzato spiega che l’orientamento non si limita agli anni delle medie, ma è un processo che nasce già nell’infanzia. Fin da piccoli, i bambini costruiscono le immagini di ciò che potranno diventare: «i nostri sé possibili», li definisce lo psicologo. Sono proiezioni di desideri, paure, aspirazioni che influenzano le scelte future. Per questo, sottolinea, è fondamentale che i genitori favoriscano la curiosità dei figli e alimentino fiducia e speranza nel futuro, piuttosto che paura del fallimento.

Secondo l’esperto, la capacità di scegliere consapevolmente una scuola si sviluppa solo se, nel tempo, si è imparato a conoscersi, a riconoscere le proprie passioni e a immaginare scenari diversi. Gli open day diventano così uno strumento utile non solo per informarsi, ma per confrontare i propri sogni con la realtà: «Sono occasioni concrete per misurare i sé possibili con l’esperienza diretta delle scuole», spiega Bozzato.
Tra ansie e aspettative: il ruolo dei genitori
Quando arriva il momento della scelta, molti ragazzi si trovano confusi: consapevoli della complessità del mondo, ma disorientati davanti alla quantità di possibilità. L’intelligenza artificiale, le nuove professioni e la precarietà del lavoro hanno reso il futuro meno lineare e prevedibile. In questo contesto, Bozzato invita gli adulti a cambiare prospettiva: non chiedere solo “che scuola vuoi fare?”, ma “che persona vuoi diventare?”.
Il compito dei genitori, spiega, è stare accanto, non decidere. Devono aiutare i figli a riconoscere cosa li fa stare bene, cosa li appassiona davvero e quali ambienti li motivano di più. La scelta perfetta non esiste, ma quella giusta è coerente con l’identità che un ragazzo sta costruendo. Le domande aperte – come “in quale scuola ti immagini più a tuo agio?” o “cosa ti incuriosisce di questa materia?” – stimolano la riflessione e riducono la pressione.
E se un figlio risponde sempre “non lo so”? Bozzato invita alla calma: «L’incertezza è parte dell’adolescenza, non va giudicata. I genitori dovrebbero ascoltare senza ansia, riconoscendo le capacità già emerse nel percorso scolastico». Il messaggio è chiaro: ogni scelta richiede tempo, e ogni decisione nasce solo quando il ragazzo è pronto.
La scuola ideale e il valore dell’errore
Molti genitori si interrogano anche su pubblica o privata, vicina o lontana da casa, più o meno competitiva. Bozzato risponde con pragmatismo: «La scuola migliore è quella che aiuta i ragazzi a sperimentarsi, a sbagliare e a riprovare. Quella che li fa sentire parte di una comunità capace di ascoltarli e accompagnarli». L’esperienza, più che i progetti o gli strumenti, è fatta di relazioni.
E se si sbaglia scuola? Non è un fallimento. È, piuttosto, un passo avanti nella conoscenza di sé. L’errore diventa parte del percorso, un momento di crescita e ridefinizione. Imparare a cambiare strada quando cambiano le motivazioni è una competenza preziosa, utile per tutta la vita.
Il mito dei social e la realtà del futuro
Tra le sfide più attuali c’è quella di chi pensa che non serva più studiare, convinto che basti diventare content creatorper avere successo. Bozzato riconosce che è normale che gli adolescenti siano attratti da figure mediatiche che sembrano vivere liberi e felici, ma mette in guardia dal confondere sogno e progetto. «Il compito degli adulti non è vietare, ma ampliare gli orizzonti. Chiedere: “Che persona vuoi diventare oltre a fare video sui social?”. Aiutarli a capire che lo studio è il terreno che può sostenere anche i sogni più grandi».
La sfida, oggi, è accompagnare i ragazzi in un mondo dove il futuro cambia velocemente e le certezze si riducono. Serve una nuova educazione alla flessibilità, che non si limiti a trasmettere nozioni ma insegni a scegliere, cambiare e ricominciare.